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Tutti gli scritti di Kafka sono attraversati dalla presenza del Nemico. Ma il suo nome si dichiarò soltanto alla fine, nei tre lunghi racconti di animali – Ricerche di un cane, Josefine la cantante o il popolo dei topi, La tana – che hanno scandito gli ultimi mesi della sua vita, chiudendola come un sigillo. Non si trattava di un tribunale ubiquo e ferreo, come nel Processo, né di un’autorità avvolgente, che poteva attirare a sé e al tempo stesso condannare, come nel Castello. Ma di animali dispersi e brulicanti, sopra e sotto la superficie della terra. Erano diventati gli unici interlocutori di colui che narrava. Come se Kafka fosse voluto scendere in uno strato più largo di ciò che è, là dove gli uomini possono essere una presenza superflua. A quel luogo – separato dal mondo ma da sempre già presente – e al suo ideatore è dedicato questo libro, che è insieme la via più diretta e labirintica per raggiungerlo.