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Scritte tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, queste poesie di alto valore e di grande bellezza sono opera di una beghina fiamminga anonima. Gli studiosi l’hanno chiamata Pseudo-Hadewijch o Hadewijch II a motivo della parentela con i testi della poetessa e mistica Hadewijch d’Anversa. Si tratta di un “capolavoro della teologia in lingua materna”, scrive Luisa Muraro nella presentazione, il modo in cui Dio ha trovato “una nuova epifania nella libera espressione di un’esperienza di donne che da lui si autorizzavano a parlare, a tacere, a leggere e a scrivere”.