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Maestoso, brullo e pelato dal vento. Caro al Petrarca, che si narra sia stato il primo a salirci, e ai ciclisti che lo considerano un santuario del pedale. Ma anche tragico il Mont Ventoux, per quel 13 luglio del 1967 quando al culmine della tredicesima tappa del Tour de France su quelle interminabili rampe arse dal solleone andò in scena il dramma di Tom Simpson, baronetto di Sua Maestà stroncato dall’agonia. Sognava la maglia gialla Simpson, per coronare la sua carriera e per garantire un futuro sereno alla famiglia; il sogno si trasformò in calvario, e la sua fu una morte in diretta. Una giornata drammatica, sconvolgente, e scandalosa quando portò alla luce ciò che doveva rimanere sotto la coperta dell’omertà. L’inconfessabile. Come tanti, Tom Simpson pensava che le anfetamine lo avrebbero potuto aiutare; non poteva sapere che con il calore e lo sforzo, avrebbero costituito una miscela mortale. Nella memoria collettiva il suo nome è associato al doping. La prima vittima del doping. Ma Tom Simpson era anche un grande campione, un pioniere nella storia del ciclismo britannico negli anni della Swinging London.